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domenica 22 settembre 2013

DANNO BIOLOGICO PER ILLEGITTIMA ISCRIZIONE D'IPOTECA: EQUITALIA E COMUNE CONDANNATI AL RISARCIMENTO

Decisione originale la numero 3013/2013 del Giudice di Pace di Lecce, Avv. Cosimo Rochira, che ha riconosciuto la lesione psico-fisica di una contribuente a seguito di un’iscrizione ipotecaria illegittima effettuata da Equitalia per tributi richiesti dal Comune di Lecce.


La contribuente ha depositato della documentazione tesa ad attestare l'iscrizione ipotecaria illegittima effettuata da Equitalia per conto del Comune di Lecce. I due enti da parte loro non sono riusciti a fornire prova contraria di quanto accaduto.

Il Giudice ha poi disposto una CTU sull'imprenditrice ed il perito nominato è giunto alla conclusione che poteva essere ricondotta a tale circostanza la "reazione traumatica da stress" che veniva lamentata dalla donna alla quale venivano riconosciuti tre giorni di invalidità temporanea assoluta, quaranta giorni di invalidità temporanea al 50% e venti giorni al 25% nonché le spese mediche sostenute a causa di tale evento. Equitalia e il Comune di Lecce sono stati pertanto condannati in solido al pagamento di Euro 2.059,50.

Sicuramente tale pronuncia farà discutere ed aprirà nel futuro ad altre richieste di tale genere ma rende giustizia nei confronti degli errori nei quali possono incorrere le PA che effettivamente possono causare, soprattutto in virtù del periodo economico che stiamo vivendo, un danno biologico per eventuali richieste illegittime.

giovedì 12 settembre 2013

ANNULLATO VERBALE TELELASER PER MANCATO RIFERIMENTO ALLA PRESENZA DEL CARTELLO DI SEGNALAZIONE

E' l'interessante decisione del Giudice Antonino Fazio del Tribunale di Piacenza che con la sua sentenza n° 422/2013 ha annullato il verbale, compresa la decurtazione dei punti, elevato nei confronti di un automobilista "pizzicato" dal telelaser.

Nel modulo di contestazione dell'infrazione non era contenuto un espresso riferimento alla presenza di idonei segnali stradali di indicazione del fatto che si stesse procedendo a controllo elettronico della velocità.

A nulla è valsa, poi, la testimonianza resa dall'agente accertatore, questo perché il Giudice dell'appello ha ritenuto che, dovendo la Pubblica Amministrazione basarsi sui principi di efficienza ed imparzialità dell'azione amministrativa, l'indicazione della presenza o meno dell'idonea segnalazione, obbligatoria per la validità dei controlli da oramai diversi anni, deve essere contenuta direttamente nel modulo recapitato all'automobilista.

La P.A., infatti, deve documentare a priori di aver adempiuto agli obblighi previsti dalla legge, per questi motivi oltre all'annullamento della procedura sanzionatoria il Giudice ha condannato l'ente alle spese di giudizio.

martedì 6 agosto 2013

VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO! LA CORTE COSTITUZIONALE SULLA MISURA CAUTELARE

La Consulta, con la discussa sentenza n. 232 del 23 luglio scorso, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale nel quale era prevista  la custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza per taluni reati.

Il Tribunale di Salerno, sezione riesame, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 275 c. 3 del c.p.p. in riferimento agli articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione. In quest'articolo veniva, infatti, imposta l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere» in relazione al delitto di cui all’articolo 609-octies del codice penale.

Nell'occasione agli imputati era stata sostituita la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ritenuta dal giudice del riesame più idonea in applicazione al caso concreto.

Per questo viene posta all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui per il delitto di cui all’art. 609-octies cod. pen. prevede una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere. 

La norma sarebbe in contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con il principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, 1 c., Cost.) e con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, 2 c., Cost.), che "portano ad individuare nel <<minor sacrificio necessario>> il criterio che deve informare la materia delle misure cautelari personali e a considerare che le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni chiaramente differenziate da quelle della pena".

La questione viene ritenuta fondata per diversi motivi.

Occorre prima di tutto rilevare che già precedenti pronunce della stessa Consulta avevano dichiarato l'illegittimità della norma oggetto del presente giudizio in relazione ad alcuni reati a sfondo sessuale, al delitto di omicidio volontario, , delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, etc., per gli stessi motivi invocati oggi. 
In tutte queste pronunce la Corte Costituzionale aveva tenuto come linea guida delle proprie decisioni il fatto che la compressione della libertà personale deve essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Compito facilitato dal fatto che nel nostro codice di procedura penale è possibile scegliere tra una serie di misure di gravità crescente (artt. dal 281 al 285 c.p.p.) cercando di commisurarle con il principio di adeguatezza enunciato all'art. 275 c. 1 c.p.p. ai sensi del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle idonee ad essere applicate.

Nonostante la particolare nefandezza del reato e la lesione del bene della libertà sessuale del reato della violenza sessuale di gruppo, considerazioni che hanno indotto il legislatore nel 1996 a farne una previsione autonoma comminando anche una pena di maggior rigore rispetto al delitto di violenza sessuale, la "più intensa lesione del bene della libertà sessuale ricollegabile alla violenza sessuale di gruppo non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente 
valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata".


Si può concludere, pertanto, che "la norma in esame è in contrasto sia con l’art. 3 Cost., per l’irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame e per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a quelli concernenti delitti caratterizzati dalla “struttura” e dalle “connotazioni criminologiche” tipiche del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.; sia con l’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; sia, infine, con l’art. 27, secondo comma, Cost., in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena".

Bisogna ribadire, infine che ciò che entra in contrasto con i principi costituzionali non è la presunzione in sé ma il fatto che la stessa abbia carattere assoluto.


martedì 30 luglio 2013

ACCOLTO INTEGRALMENTE IL PRIMO RICORSO COLLETTIVO TRIBUTARIO ITALIANO.

La 4° Sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce con la sentenza n. 2724/13 ha ritenuto ammissibile l'azione collettiva dei contribuenti e ha annullato gli atti di accertamento sugli estimi catastali.



È con estrema soddisfazione che comunichiamo ai media e alla collettività, nonché ai tributaristi che saranno sicuramente interessati dalla notizia, che in data odierna è stata pubblicata dalla quarta sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce la sentenza numero 2724/13 che ha accolto integralmente il ricorso presentato collettivamente dai primi 25 contribuenti leccesi assistiti dall’avvocato Francesco D’Agata con la preziosa e fattiva collaborazione dell’avvocato Maurizio Villani, in relazione alla questione dell’aggiornamento degli estimi catastali a Lecce da parte dell’Agenzia del Territorio su input dell’amministrazione locale.


A sottolineare l’importante decisione, che riguarda per la prima volta in Italia un’azione collettiva intrapresa da più contribuenti che hanno impugnato con un unico ricorso altrettanti avvisi di accertamento, è Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” che alla luce di questo successo stigmatizza il comportamento di alcuni detrattori, anche tra le associazioni dei consumatori, che avevano bocciato a priori la via collettiva, senz’altro più economica per i contribuenti e per l’amministrazione della giustizia, prediligendo la presentazione in massa di migliaia ricorsi individuali per la medesima questione di diritto, tanto da far pensare ad un vero e proprio business dei ricorsi.

Ciò che però ci preme sottolineare, spiega Giovanni D’Agata, al di là dell’ennesima prova dell’illegittimità degli atti di accertamento in serie per l’aggiornamento degli estimi catastali a Lecce, è che l’accoglimento del primo ricorso collettivo tributario in Italia, che conferma in concreto quanto sostenuto dalla Cassazione con la sentenza numero 4490 del 22 febbraio 2013, apre la strada alla possibilità di intraprendere analoghe azioni per questioni simili che dovessero presentarsi in futuro e che riguardano ragioni di diritto comuni in un settore del diritto, quale quello processuale tributario, nel quale sino ad oggi si riteneva inammissibile il ricorso cumulativo.

(Fonte: sportellodediritti.org)

sabato 27 luglio 2013

DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO DEGLI STRANIERI - LA CORTE COSTITUZIONALE SUL T.U. IMMIGRAZIONE

Il T.U. Immigrazione all'art. 5 c. 5 recita: "Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale."

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 202 del 18 luglio 2013, è intervenuta proprio dichiarando l'illegittimità costituzionale della parte evidenziata in grassetto in cui è prevista una valutazione del rilascio del permesso di soggiorno si applichi solo per lo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, vale a dire solo per chi ha presentato formale domanda.

Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto sugli articoli 5, comma 5, e 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato), in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nonché all’art.117, primo comma, Cost. con riferimento all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

La questione ha origine da un giudizio per l'annullamento del decreto emesso dal Questore di Venezia con il quale è stata respinta l'istanza del cittadino straniero per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Il provvedimento di diniego è fondato sul giudizio di pericolosità sociale del soggetto desunto dai precedenti dello stesso in materia di stupefacenti relativa a fatti del 2002.
Il TAR, però, ritiene che il giudizio di pericolosità sociale non sia motivato visto che i fatti risalgono nel tempo all'anno 2002 e mancherebbe pertanto la pericolosità attuale.
Comunque la richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno sarebbe stata automaticamente rigettata in considerazione della detta condanna, anche se non definitiva, ed in ogni caso il giudizio discrezionale è rimesso alla Pubblica amministrazione che deve tenere conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, delle conseguenze dell’espulsione e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
Secondo il Tribunale Amministrativo, quindi, il ricorrente si troverebbe nelle condizioni sostanziali per ottenere sia il ricongiungimento familiare che il permesso CE di lungo soggiorno, ma non avendo presentato le relative istanze e non avendo esercitato i relativi diritti, né ottenuto i relativi provvedimenti, non rientra nelle eccezioni previste dal legislatore e dovrebbe, essere assoggettato all’automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno, in forza della condanna subita.
Secondo il TAR da qui deriverebbe la non manifesta infondatezza della questione 
di legittimità degli artt. 5, comma 5, e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non estendono le eccezioni previste a coloro che si trovano nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento familiare o il permesso di soggiorno di lungo periodo, ma non hanno richiesto i relativi provvedimenti.

Il ricorrente è presente sul territorio nazionale dal 1992 anno in cui ha contratto matrimonio con una cittadina italiana dalla quale ha avuto un figlio, successivamente ha divorziato da questa persona ed ha contratto matrimonio con una cittadina straniera titolare di un permesso per soggiornanti di lungo periodo, dalla quale ha avuto due figli ancora minorenni.

Motivi del ricorso
Il ricorrente sostiene che la mancata estensione della tutela rafforzata contro l’allontanamento, prevista dagli artt. 5 e 9 del decreto, a chi non abbia presentato un’istanza di ricongiungimento perché la famiglia si è formata in Italia, "violerebbe i principi di uguaglianza e di proporzionalità di cui all’art. 3 Cost.perché discrimina tra situazioni identiche dal punto di vista sostanziale". 
Irragionevole e sproporzionato ex art. 3 Cost. sarebbe poi il "sacrificio dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost., dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ex art. 29 Cost., del diritto e dovere dei genitori di istruire ed educare i figli ex art. 30 Cost. e del principio di cui all’art. 31 Cost., che dispone che la Repubblica agevola la formazione delle famiglie proteggendo l’infanzia e la gioventù".

Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel giudizio, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata manifestamente inammissibile o non fondata.

La Corte Costituzionale respinge la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 mentre ritiene ammissibile quella relativa all’art. 5, comma 5, del decreto citato.

Al legislatore è riconosciuta ampia discrezionalità nel regolare l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, in considerazione della pluralità degli interessi che sono coinvolti. Nell’ambito di questa discrezionalità, il legislatore può anche prevedere casi in cui, di fronte alla commissione di reati di una certa gravità, ritenuti particolarmente pericolosi per la sicurezza e l’ordine pubblico, l’amministrazione sia tenuta a revocare o negare il permesso di soggiorno automaticamente e senza ulteriori considerazioni.
Per la costante giurisprudenza la condanna di uno straniero per determinati reati può giustificare il mancato rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno ma bisogna bilanciare da un lato l'interesse a mantenere la sicurezza e l'ordine pubblico, allontanando eventuali soggetti che dovessero minare questo equilibrio, e dall'altro tenere in considerazione il fatto che questo genere di automatismi vanno ad incidere in modo sproporzionato ed a volte irragionevole sui diritti fondamentali della persona.

"Nel caso in esame, la disposizione impugnata delimita l’ambito di applicazione della tutela rafforzata, che permette di superare l’automatismo solo nei confronti dei soggetti che hanno fatto ingresso nel territorio in virtù di un formale provvedimento di ricongiungimento familiare, determinando così una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso. Simile restrizione viola l’art. 3 Cost. e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 Cost. e che la Repubblica è vincolata a sostenere, anche con specifiche agevolazioni e provvidenze, in base alle suddette previsioni costituzionali."

"Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato» e dichiara, invece, inammissibile  la questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza in epigrafe in relazione all’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998."


sabato 13 luglio 2013

AUTOVELOX...DEV'ESSERE ANNULLATA LA MULTA SE IL VERBALE NON INDICA IL NOME DEL FUNZIONARIO CHE ATTIVA L'APPARECCHIATURA.

Autovelox e apparecchiature elettroniche per la rilevazione delle infrazioni. Dev'essere annullata la multa se il verbale non indica il nome del funzionario che attiva l'apparecchiatura.

I pubblici ufficiali devono assistere allo sviluppo delle foto effettuate con il traffiphot. E la Polizia locale è obbligata a specificare quale dei Comuni associati sta sanzionando il trasgressore

Interessante decisione del Giudice di Pace di Rovigo che fa il punto sulle infrazioni al codice della Strada effettuate con il famigerato “traffiphot”, che per Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, vale la pena segnalare per rappresentare quanti vizi possano essere rilevati in un verbale al codice della strada quando le contestazioni vengono effettuate con strumentazione elettronica gestita da appaltatori privati e non dalle forze di polizia stradale, locali o nazionali.
Secondo il giudice di merito, dev’essere annullata la multa per eccesso di velocità se il verbale non indica il nome del funzionario pubblico che attiva e disattiva il traffiphot dal quale è stata rilevata l’infrazione. E in ogni caso i dipendenti del Comune devono presenziare allo sviluppo delle foto con le auto sanzionate effettuato dalla società appaltatrice del servizio.
Nel caso di specie, è stato accolto il ricorso del (presunto) trasgressore in primo luogo per un vizio formale che riguarda un difetto di notifica. La polizia locale che agisce per conto di un insieme di piccoli Comuni nell’area, è il soggetto che ha effettuato la notifica, ma il verbale non specifica chi è l’ente sanzionatore, che poi sarebbe l’amministrazione locale nel cui territorio la violazione risulta accertata: l’omissione rende di per sé illegittimo il verbale.
Il verbale impugnato, peraltro, risulta essere viziato anche per altre ragioni: non è stato rispettato l’obbligo della polizia locale di presenziare alle attività di installazione e attivazione del traffiphot. Nulla si sa della certificazione di qualità dello strumento (restano dubbi sulla legittimità a accertare gli eccessi di velocità delle moto). Di più: la fotografia utilizzata per la contestazione del presunto illecito risulta sviluppata da una società privata che riporta il frame “incriminato” in cd masterizzati, che si coordinano con il programma di gestione delle verbalizzazioni in dotazione alla polizia municipale verbalizzante. In nessun caso, quindi, risulta che gli agenti di Polizia Locale siano presenti alle operazioni, come rilevato dal giudice onorario, che ha, quindi, accolto il ricorso.
(fonte: sportellodeidiritti.org)

sabato 6 luglio 2013

DINIEGO DI RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO. PRONUNCIA DEL CONSIGLIO DI STATO.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n° 3525 del 27/06/2013 si pronuncia sul ricorso di un cittadino straniero che chiede di rivedere la  sentenza del TAR Veneto n. 01632/2011.

Il Tribunale Amministrativo aveva infatti respinto il ricorso da questo soggetto proposto per l'annullamento del provvedimento di irricevibilità dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno sulla scorta del fatto che la domanda di rinnovo di tale permesso era stata presentata tardivamente (dopo nove mesi) desumendo dall'art. 13 c.2 della L. 286/98  che il termine di presentazione della domanda di rinnovo è di 60 giorni dalla scadenza dello stesso.

L'interessato ha proposto ricorso, adducendo attraverso il proprio legale, il carattere incolpevole del ritardo, che risulta da circostanze che il Tribunale amministrativo a loro dire, non ha ritenuto di prendere in considerazione ed il fatto che l'Amministrazione pubblica che ha emesso il provvedimento non ha utilizzato gli istituti di partecipazione previsti dalla legge n. 241/1990  ed, in particolare, non ha effettuato la comunicazione del preavviso di rigetto.

Per questo motivo il ricorso viene ritenuto fondato, lo strumento della comunicazione del preavviso di rigetto poteva infatti consentire al destinatario del provvedimento di provare quanto invece aveva dovuto dichiarare successivamente nel ricorso e cioé la sua situazione familiare e la sussistenza di gravi motivi, che possono aver determinato il ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.
Inoltre sono rimaste prive di valutazione sia da parte del provvedimento impugnato che dalla sentenza del T.A.R. adito le circostanze relative all'autosufficienza economica ed alla situazione familiare dell'odierno ricorrente. Posizione che può essere circoscritta nell'ipotesi del ricongiungimento familiare in seguito a degli avvenimenti che avevano visto riunirsi il nucleo familiare dell'interessato nel nostro paese.

Il Consiglio di Stato, quindi, accoglie il ricorso in riforma della sentenza impugnata.

lunedì 13 maggio 2013

MALORE O COLPO DI SONNO? Corte di Cassazione sent. N. 9172 del 2013

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9172 depositata il 26 febbraio 2013, ha rimandato al Giudice di Pace penale una sentenza di assoluzione.


Il caso era quello di un muratore che al termine di una giornata di lavoro nel mese di agosto passata sotto il sole aveva avuto, a suo dire, un malore, mentre si trovava alla guida, causando un incidente. 

In particolare mentre percorreva un tratto di rettilineo della SS42 del Tonale e della Mendola era finito nella corsia opposta di marcia, andando a scontrarsi con un veicolo che sopraggiungeva condotto da una donna che a causa dell'urto riportava lesioni.

Il perito nominato dal Giudice di Pace aveva concluso che il soggetto imputato al momento del sinistro non fosse cosciente ma che non poteva accertare se il soggetto fosse stato vittima di un colpo di sonno o fosse stato colto da un malore improvviso. Secondo il PM, poi, la colpa dell'imputato era consistita nel porsi alla guida del veicolo senza preoccuparsi di avere i requisiti psico-fisici necessari considerata la situazione.

Il Giudice di Pace aveva, pertanto, ritenuto di dover assolvere l'imputato sulla base della erronea considerazione dell'evento come "caso fortuito".
La Suprema Corte invece ritiene di poter ascrivere tale accadimento nell'infermità, in quanto stato morboso seppure di natura transitoria. 

La differenza maggiore nel ricondurre il caso in esame ad una di queste due fattispecie consiste nel fatto che il caso fortuito presuppone sempre un'azione umana cosciente e volontaria mentre il malore improvviso esclude tale connotazione.
Una volta dedotta la circostanza, quindi, il Giudice deve procedere in tal senso con la valutazione della configurabilità o meno della capacità di intendere e volere dell'imputato.

Per quanto riguarda gli oneri probatori la Corte di Cassazione da tempo ha un orientamento univoco secondo il quale in tema di reati colposi conseguenti ad incidenti stradali non è sufficiente che vengano formulate ipotesi circa la perdita di controllo del veicolo ma occorre svolgere accertamenti complessi sulle effettive condizioni psico-fisiche del soggetto al momento del fatto e sullo stato di efficienza del veicolo. In presenza di risultanze che confortano la colpevolezza deve presumersi che la condotta del soggetto normalmente capace sia riferibile ad un'azione cosciente e volontaria e liberamente determinata.

Alla luce di quanto detto, quindi, il Giudice di Pace avrebbe dovuto indagare ulteriormente circa il genere di circostanza che aveva causato il sinistro, se fosse o meno ascrivibile ad un malore o ad un colpo di sonno, allo scopo di fugare ogni dubbio e valutare il fatto com'è giusto che sia con estremo rigore.

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha, pertanto, annullato la sentenza impugnata ed ha rinviato al Giudice di Pace di Lovere per un nuovo esame della questione tenendo, però, conto dei principi impartiti.