domenica 24 novembre 2013

DISCRIMINAZIONE SESSUALE E RICHIESTA DI ASILO. LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA IN MERITO.



Secondo la Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004 che prende naturalmente spunto dalla Convenzione di Ginevra, “il cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato «gruppo sociale», si trovi fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non possa o, a causa di tale timore, non voglia avvalersi della protezione di detto paese, può chiedere lo status di rifugiato”.
Nel caso di specie i tre richiedenti asilo, provenienti da Sierra Leone, Uganda e Senegal, avevano richiesto di essere accolti nei Paesi Bassi poiché temevano nei rispettivi stati di provenienza una effettiva persecuzione e discriminazione sessuale da parte della locale “giustizia” dove potevano incorrere da pesanti sanzioni pecuniarie fino ad arrivare addirittura all’ergastolo.
Il Raad Van State (Consiglio di Stato dei Paesi Bassi) si è rivolto alla Corte di Giustizia Europea per la valutazione della circostanza se si possa ritenere che i cittadini di paesi terzi che siano omosessuali possano costituire un “particolare gruppo sociale” e come tali essere anch’essi tutelati dalla vigente normativa in materia.
La Corte di Giustizia ha ritenuto, com’è ovvio, che l’orientamento sessuale di una persona è una “caratteristica fondamentale per la sua identità” e come tale irrinunciabile. Ma allo stesso tempo ha ritenuto anche che per arrivare alla tutela apprestata dall’istituto dell’asilo la persecuzione deve essere di una “certa gravità” e cioè non solo l’orientamento sessuale deve essere considerato reato nel paese d’origine del richiedente asilo, ma le pene devono trovare effettiva applicazione nella prassi.
Per questo motivo lo stato europeo che riceve la richiesta di asilo deve valutare se effettivamente nel paese d’origine del richiedente la discriminazione sessuale oltre ad essere considerata reato è concretamente punita (es. pena detentiva effettivamente applicata). Gli atti persecutori e discriminanti devono, quindi, essere sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave di diritti umani fondamentali.

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